Ultimamente succede che io mi dimentichi di mettere gli occhiali.
Sono mediamente miope da quando facevo la terza elementare, ma solo da una quindicina di anni indosso sempre un qualche dispositivo che mi aiuti a mettere a fuoco. Occhiali o lenti a contatto. Senza queste protesi vedo le cose lontane sfocate e confuse.
Difficile sbagliare. Però da qualche tempo sbaglio e mi dimentico. Faccio per uscire di casa e mi rendo conto che mi manca qualcosa.
Ieri me ne sono accorta quando già ero per strada e ho pensato, pazienza, male che vada non riconosco qualcuno. Tanto non incontro quasi mai nessuno.
Quasi.
Dopo pochi metri mi si sono fatte dappresso due forme umane in guisa di nebbiolina. Ho avvertito il sorriso e i volantini in mano e, certa che fossero pie donne in cerca di proseliti, ho tirato dritto mormorando “Non mi interessa”.
Sbagliato.
Mi interessava eccome, erano le mie parrucchiere che portavano nel quartiere la lieta novella della riapertura del negozio dopo una ristrutturazione.
L’episodio di per sé è degno delle notizie amene che i grandi quotidiani danno in pasto ai commentatori nei social network, di quelle che meritano tanti “sticazzi”.
Ma l’inconscia ricerca dell’offuscamento visivo mi fa pensare. Quello che vedo non mi piace. Non mi interessa guardare lontano, mi stanno bene i contorni sfumati delle cose, le figure indeterminate degli umani intorno, ci sono ma non so chi siano. Del resto non è sempre così? Io chi siano gli altri non lo so, nemmeno se li guardo con un binocolo.
Mi basta vedere bene da vicino, raggomitolarmi nel letto col mio ebook-reader e i cinquanta libri che ci sono dentro. O sfidare il mondo a colpi di ruzzle, e vincere.
O perdere (meno).