Saluti di passaggio.

Quest’anno ho imparato una cosa nuova.

I motociclisti quando si incontrano sulle strade si salutano. Anche se non si conoscono, intendo.

Io non lo sapevo. Pensavo che fosse già un’usanza bizzarra lo strombazzamento sull’autostrada del Sole, negli anni ’70, quando con la 128 blu andavamo in vacanza in Calabria.

Capitava di incrociare altre autovetture targate FI. All’epoca le targhe indicavano chiaramente la provincia, ora bisogna sforzarsi perché è scritto piccolo e non sempre c’è.

Insomma noi bambini eravamo tutti eccitati per questo straordinario incontro, così lontani da casa, e mio padre, per assecondare il nostro entusiasmo, usava il clacson per salutare i concittadini in trasferta. Che poi magari era solo la targa fiorentina, ma a noi questo non importava molto e salutavamo agitandoci con infantile ardore dai finestrini (chiusi).

Anche dai natanti la gente saluta. Per esempio ad Amsterdam i passeggeri sui battelli agitano affettuosamente le mani verso i passanti sulla terraferma e sui ponti. Chissà come mai.

saluto moto

Esempio di saluto bi-digitale senza guanti.

I motociclisti invece, siccome non è prudente che facciano gesti inconsulti, alzano appena due dita della mano sinistra, quando si incontrano nelle direzioni opposte. Come nel segno di “vittoria”. Oppure come quando si chiedeva il permesso di andare al gabinetto.

I più ardimentosi, o più espansivi, sollevano la mano dal manubrio.

Quelli che invece procedono nella stessa direzione, superandosi, alzano la gamba destra.

All’inizio pensavo che soffrissero del mio stesso problema, un intorpidimento della parte inferiore del corpo, a causa del sistema muscolo-scheletrico-circolatorio compresso dalla posizione e dal sellino. Temo di non essere nelle condizioni fisiche ottimali per apprezzare tutta questa libertà e vento tra i capelli (metaforicamente parlando) per più di un’ora. Però trovo divertente il senso di appartenenza, e saluto anch’io, in qualità di passeggera indolenzita.

Mi è stato anche spiegato che chi va in scooter non conta, quelli non vanno salutati. Io però un occhiolino di solidarietà glielo farei.

Volete venire a casa mia?

“C’è una casina piccola così…”

Sono entrata nel fantastico mondo delle locazioni brevi e ho aperto la porta al mondo.

Cliccate QUI e cominciate il viaggio.


Casa 42, bilocale nel centro storico.

Bologna, Emilia-Romagna, Italia

Perché 42? “È la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto” (*) ed è anche il numero di metri quadri dell’appartamento. La posizione è tranquilla ma adatta a chi cer…

Thank you, bis

Oggi è il giorno del Ringraziamento negli Stati Uniti, e lo sappiamo bene noi cresciuti a pane, nutella e telefilm. Una volta l’ho vissuto direttamente anch’io. Siccome è un’esperienza che rischia di restare unica (ma non mettiamo limiti), la ripropongo oggi in memoriam dei tacchini arrosto passati, presenti e futuri.

Cliccare la foto per leggere quella volta che ero a New York e…

New York City, Thanksgiving Day 2008

New York City, Thanksgiving Day 2008

Non son portata per gli eventi, anche se mi ci portano

Viaggiare apre la mente, si sa. E non è necessario andare lontano per vivere avventure, ma scendere le scale di casa può essere d’aiuto. La scorsa settimana oltre alle domestiche scale, le consuete, note e domestiche scale, ho sceso anche quelle mobili della Stazione Centrale di Milano.

Tutto ‘sto panegirico per dire che ho fatto una gitarella, per una breve visita ad una cara amica che non vedevo da molti anni.

Milano mi piace, mi è sempre piaciuta, fin dalla prima volta che ci sono stata. Ero giovinetta e mio padre mi ci accompagnò quando ero in preda a furori quizzarol-televisivi. Poi ci sono tornata varie volte, sola o in compagnia, quasi sempre per lo stesso motivo.

evento marketing milano

Immagine mossa per rappresentare la confusione. O viceversa.

La sera del venerdì, quella che usualmente è dedicata alla maratona di serie TV in pantofole sul divano, mi sono ritrovata, senza sapere come-chi-dove-perché, nel vortice rumorosissimo di un evento commercial-mondano. L’umanità dei privilegiati che avevano avuto l’accesso comprendeva bionde vistose con facce annoiate, uomini vari e variegati (anche nelle bizzarre nuances dei capelli), qualche personaggio televisivo e molte bocche masticanti. In fondo è il catering che attira, no?

Un tempo sarei stata molto imbarazzata, mi sarei sentita fuori luogo.

Oggi no. Sapevo di essere fuori luogo, ma non mi chiamerei Ironica se non avessi aguzzato i sensi, in primis quello dell’umorismo.

La tristezza (sì, proprio) emanava da quelli fuori, sul marciapiede, che, col vestito della festa, stazionavano ansiosi, bramosi, protesi verso le due ancelle che avevano il potere di far varcare la soglia di un negozio, ma che in quel momento pareva l’Empireo, il Paradiso, il traguardo dorato e scintillante.

Quando dopo venti minuti sono uscita sottraendomi alla calca smaniosa, ho mormorato “Non spingete, fatemi uscire, mondieu!”.

Avrei voluto aggiungere “Popolino che non siete altro, andate a fare una passeggiata, lì dentro non c’è nulla che meriti l’attesa, ve lo assicuro”.

Ed era vero, la musica martellava i timpani, la gente spintonava e, soprattutto, i panini erano terribilmente piccoli.

Pedalo strano

La mia routine è tornata sui binari consueti, dopo un brevissimo periodo in cui lo sfasamento è stato comunque minimo.

Insomma, niente villeggiatura neppure quest’anno. E non uso questa parola a caso, ché i disoccupati non hanno ferie, e viceversa sono sempre in vacanza, etimologicamente parlando.

Sono stata trascinata, quasi alla lettera, lungo le strade dell’Emilia Romagna, a bordo di un veicolo più unico che raro. A questo proposito, se a qualcheduno capitasse di vedere, o gli fosse narrato da conoscenti stupiti di aver avvistato uno strano modello di velocipede a due posti (un tandem insomma), coi pedalatori seduti in posizione reclinata, ecco, sappiate che quella dietro ero io. Non ci si può sbagliare, sul territorio nazionale non ne esistono altri esemplari.

Il tandem reclinato, di produzione olandese, allestito per un breve viaggio.

Il tandem reclinato, di produzione olandese, allestito per un breve viaggio.

E non lo dico con l’arietta soddisfatta, che si sappia. Immaginate un’espressione timida e quasi implorante comprensione.

La gente che ci vede normalmente sorride, ci addita, si ferma a guardare, saluta. Qualcuno ammicca e allude alla comodità di chi sta dietro perché può viaggiare a sbafo. A questo proposito colgo l’occasione per precisare che, data la configurazione del mezzo, non è possibile per il viaggiatore posteriore smettere di pedalare. Quindi piantatela di fare illazioni: io pedalo sempre.

I più ardimentosi ci rivolgono la parola immaginando una risposta in lingua straniera. Così ci è stato detto “Pensavo che foste tedeschi”. Che poi al massimo io potrei essere una tedesca oriunda, perché non ho i tratti caratteristici del popolo germanico.

Anche se ultimamente il mio parrucchiere ci è andato giù pesante coi colpi di sole. Forse è per quello.

Mamma mi si è allargato il treno

Oggi leggevo una simpatica notizia (sono sempre meno) a proposito delle ferrovie francesi che hanno ordinato 2000 treni nuovi e poi si sono accorti che sono troppo larghi, e non gli entrano nelle Stazioni. Così ora devono spendere 50 milioni di euro per adeguare le banchine. Come facciano non lo so, forse segano i marciapiedi.

Ovviamente la notizia è simpatica per modo di dire, perché è una brutta bega da risolvere, anzi, col linguaggio “qualitatese” è proprio una non conformità grave, gravissima.trenofrancese

Quando seguivo il corso sui sistemi di gestione, la cosa che mi ha più colpito era l’ovvio, o almeno quello che secondo me era ovvio. In questo caso, richiedere che un treno riesca a entrare in Stazione sarebbe ovvio. Ma evidentemente non va dato mai nulla per scontato.

Durante una lezione l’ingegnere docente ci presentò come esempio una fabbrica di radio. “Quali sono i requisiti del prodotto?” E noi lì a scervellarci.

“Che funzioni” suggerì l’ingegnoso ingegnere. A quel punto mi lanciai in una elencazione che comprendeva non esplodere quando veniva accesa, che non si squagliasse d’estate, e che non si disintegrasse durante uno spostamento. Come requisito ulteriore che censurasse in automatico le canzoni di Gigi D’Alessio (o di qualunque altro cantante, a scelta dell’acquirente).

Nel caso attuale, non so se questi treni abbiano una larghezza standard e l’errore sia stato di chi li ha ordinati. Oppure se il progettista abbia sbagliato il numerino sul disegno (pare in effetti che sia un errore di progettazione); avrà pensato, facciamolo bello largo così la gente ci sta più comoda. Poverino, in fondo il ragionamento non era sbagliato, però subito dopo avrebbe dovuto controllare. A me sarebbe venuto in mente, anche se non ho studiato ingegneria ferroviaria, o comunque si chiami.

Naturalmente fior fiori di ingegneri, progettisti, esperti di ferrovie stanno discutendo sui social network sulle cause del malestro e su come si possa risolvere. Lo zoccolo duro è preso dal tema “bisogna allargare la banchina o i binari?”.  Il tutto infiorettato da luoghi comuni ed errori grammaticali.

Qualcuno infine, come poteva mancare?, sospetta il “gomblotto”. Che il progettista fosse in combutta con le “Imprese per l’allargamento delle banchine ferroviarie”?

Utonti da asporto

Prendo spesso il treno, quasi ogni settimana. Ormai sono pratica di binari, ho imparato anche a orientarmi nella nuova stazione di Bologna, il cui progetto dev’essere probabilmente ispirato a un’opera di Escher.

Relativity, 1953

Relativity, 1953

Posso capire chi invece manchi di questa dimestichezza dovuta all’uso reiterato, e  più volte ho fornito volentieri un aiuto al viandante sperduto.

Fatte queste premesse però, mi domando come facciano, non dico a viaggiare, ma a vivere quotidianamente, quelli che:

1. non trovano il binario giusto perché non hanno l’accortezza di alzare lo sguardo verso i cartelli;

2. entrano nel panico quando si ferma il treno, perché non vedono il grosso pulsante verde illuminato da premere e se non ci fosse qualcuno dietro di loro, finirebbero al Brennero o a Salerno (dipende dalla direzione);

3. non trovano la carrozza per lo stesso motivo del punto 1;

4. non trovano il loro posto sulla carrozza perché non capiscono come funzioni la numerazione;

5. ultimi ma non meno importanti, quelli che pretendono di tenere il valigione extralarge da emigrazione o incastrato sotto il sedile al posto delle gambe, oppure nel bel mezzo del corridoio, in modo che gli altri da passeggeri diventino saltatori.

Da parte mia prometto di essere paziente e di insegnare a leggere i cartelli e pigiare i bottoni, se in cambio estenderanno il divieto di fumo e telefonini a banchine, scale mobili e ferme, corridoi e “marciappiedi” (come dice la voce registrata).

Prossimamente: i viaggiatori odiosi (me compresa, a volte).

Attendere, prego.

C’era una volta la sala d’attesa della Stazione ferroviaria. Il viandante poteva attendere colà l’arrivo del proprio treno, sia che si trattasse di un tipo ansioso e quindi in anticipo sull’orario di partenza, oppure mestamente vittima di fastidiosi ritardi.

Naturalmente esistevano ambienti rigorosamente separati per le due classi di viaggiatori: quelli di prima, con valigette e aria altezzosa e i poveracci di seconda categoria, con le valigie di cartone e i panini con la braciola impanata. Nella sala di prima classe si stava seduti in poltrona consultando documenti e giornali finanziari, in seconda si stava stravaccati sulle panche di legno, sonnecchiando o sfogliando riviste popolari, come Stop e i fotoromanzi Lancio.

Ovviamente sono luoghi comuni, una volta ho visto uno che leggeva il Sole 24 ore nel reparto dei viaggiatori poveri. Cosa succedesse nella sala di prima classe non lo so, perché non ricordo di esserci mai stata.

Font anni '30

Font anni ’30

In ogni caso, almeno nella Stazione di Santa Maria Novella, della sala d’attesa è rimasta solo la scritta in stile vintage.

E allora dove si sta ad aspettare i treni? Prima di tutto lungo il marciapiede in base al numero della carrozza, non oltrepassando la linea gialla. Se però ci si volesse mettere a sedere le opzioni sono le seguenti: sulle panchine lungo i binari (ma se poi all’ultimo momento cambiano il numero del binario si rischiano affannose corse), per terra (per chi ce la fa poi a rialzarsi), sulle basi delle strutture pubblicitarie, oppure sulle durissime poltrone di metallo che sono state piazzate in mezzo alla sala della biglietteria, che i moderni sistemi di vendita hanno reso molto meno frequentata.

Viaggiatori in attesa sul basamento del pannello pubblicitario.

Viaggiatori in attesa sul basamento del pannello pubblicitario.

Se però siamo viaggiatori ad alta velocità, da qualche tempo esiste (per alcuni) l’opzione Casa Italo e Club Frecciarossa. Ma, mentre Casa Italo apre le sue porte trasparenti a chi sia dotato di un qualunque biglietto per il treno rosso amaranto, Trenitalia ammette nel suo esclusivo Club soltanto i vip con tessere oro, incenso e mirra, oppure chi sceglie le categorie più alte e senza sconti (anche io ogni tanto viaggio in classe business area silenzio, ma con tariffe economiche, e quindi non vale e aspetto in piedi). Chi più paga, più sta comodo, è questo il principio.  P1030351

Ammetto che un certo peso ce l’ha, sulle mie scelte di viaggiatrice frequente, e comprendo benissimo che per Trenitalia questo non costituisca un motivo di afflizione.

Ma se la scelta di escludere i viaggiatori smart (ci prendono pure in giro) serve per tutelare il relax dei viaggiatori vip, posso assicurare che tolgo sempre ogni suono prima di giocare a Ruzzle o a Candy Crush Saga.

Dovrebbe bastare.

Note pratiche di viaggio in ferrovia

Per spezzare la sequela di lamentazioni, voglio rinnovare la rubrica “Minuzie gioiose” complimentandomi con Trenitalia.loco

Finalmente, forse anche grazie alla competizione con Italo, qualcuno ha avuto la brillante idea di segnalare, sulle porte delle carrozze passeggeri, i numeri dei posti più vicini. Che poi è quello che succede sugli aerei, non è che sia servito un brainstorming apposito.

Si dovrebbero quindi evitare i corpo a corpo, le strusciate imbarazzanti con i viaggiatori che attraversano l’intero vagone per raggiungere i propri posti.

Ora siamo a posto, in senso letterale. L’omino registrato ci dice di aspettare il treno sul “marciappiede” all’altezza della nostra carrozza. Di far scendere i passeggeri in arrivo prima di salire, sennò tutti non ci si sta (e questo ci da la misura delle capacità intellettive della popolazione viaggiatrice) e, mi raccomando, di non superare la linea gialla, a meno di non essere in vena di romantici gesti alla Anna Karenina, ma consiglio caldamente altri metodi. Oltre che suicidi saremmo anche molto antipatici agli altri utenti.

All’arrivo nelle stazioni una voce stentorea ci avverte che, se vogliamo scendere, dobbiamo prepararci. Non è che pretendiamo di stare seduti fino all’ultimo, gridando “Un momento!” mentre raccattiamo i bagagli. Il Paradiso può attendere, la Freccia no.